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KABUL — I primi risultati delle indagini sull’attentato contro il convoglio italiano di Isaf fanno ritenere che l’auto carica di esplosivo fosse praticamente ferma. «Dallo studio sul cratere rimasto nell’asfalto si può dedurre che il veicolo fosse immobile, o comunque andasse molto lentamente. È un cratere quasi perfettamente quadrato, di circa due metri per due. Non si può ancora definire se l’auto fosse parcheggiata da tempo, magari vuota, e l’esplosivo innescato all’interno. Oppure un kamikaze fosse al volante, in attesa dei primi mezzi Isaf che capitassero a tiro », ci ha dichiarato il comandante del contingente Folgore a Kabul, colonnello Aldo Zizzo. La tesi della vettura-bomba ferma potrebbe rafforzare la pista dell’«attacco complesso»: prima lo scoppio e poi la seconda fase dell’imboscata, con gli spari da distanza ravvicinata per cercare di uccidere i sopravvissuti. Sembra si stia ancora cercando di individuare, tra i resti di membra umane raccolti sul posto, quelli di un possibile attentatore. «Abbiamo raccolto un paio di gambe maschili, tranciate di netto dal tronco, a circa 20 metri dal cratere.
Ma appaiono troppo intatte per essere quelle di un eventuale kamikaze. La vettura si è letteralmente polverizzata. Gli unici pezzi ancora relativamente interi sono soltanto quelli del motore», specificano alte fonti Isaf-Nato coinvolte nell’inchiesta. Lo studio della dinamica dell’attentato è utile per cercare di capire gli sviluppi della tensione nella capitale. Gli addetti alla sicurezza ai vertici della coalizione alleata prevedono infatti un autunno difficilissimo. Gli ultimi due mesi hanno visto la crescita del 200% degli attentati rispetto a giugno e maggio. Solo durante le prime due settimane di settembre sarebbero stati assassinati una trentina di poliziotti e militari afghani nella regione di Kabul. Senza neppure parlare dell’impennata esponenziale del numero di morti tra i ranghi Isaf nel Paese a partire dall’inizio dell’estate, specie americani ed inglesi. Una delle piste studiate è che possa esservi un collegamento diretto tra i maggiori fatti di sangue a Kabul che hanno caratterizzato la fase politica delle presidenziali il 20 agosto.
Si sta cercando di capire, per esempio, se il tipo di esplosivo utilizzato giovedì scorso sia simile a quello usato contro il quartier generale Isaf, il 15 agosto, o sulla Jalalabad road, quattro giorni dopo, oppure ancora all’entrata della zona militare dell’aeroporto l’8 settembre. Ieri anche Hamid Karzai ha manifestato viva preoccupazione per questa catena di violenze. Incontrando il rappresentate dell’Unione Europea nel Paese, l’ambasciatore italiano Ettore Sequi, il presidente afghano ha espresso le sue condoglianze per le vittime italiane. E si è commosso quando Sequi gli ha mostrato la foto del piccolo Simone, figlio di due anni del parà ucciso Roberto Valente, che all’aeroporto saluta militarmente la bara del padre. «Dietro ogni morto c’è una famiglia — ha detto —. Italiani, afghani, cittadini della coalizione alleata, siamo tutti fratelli nel lutto».
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