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«Miral», film in sintonia con la realtà

today03/09/2010 6

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VENEZIA – Capita che, a volte, il cinema riesca a mettersi in perfetto allineamento con la realtà. Mentre a Washington Obama tenta di riempire di contenuti il Nobel per la pace ottenuto sulla fiducia, rilanciando le trattative di pace tra Israele e Palestina, al Lido fa il pieno di applausi alle prime proiezioni stampa Miral di Julian Schnabel, in concorso alla Mostra. Un prova convivenza già per i suoi realizzatori, messi alla prova da un set tutt’altro che facile, tra riprese in luoghi caldi e autoanalisi pubblica per l’autrice del romanzo da cui è tratto. Alla base, infatti, c’è il libro della giornalista e scrittrice palestinese, ma anche un po’ italiana Rula Jebreal, girato da un regista ebreo americano, prodotto da un francese di famiglia cristiana, un newyorkese e dal tycoon dei produttori arabi, Tarak Ben Ammar, interpretato da un’attrice nata a Nazareth (Hiam Abbas, uno dei voti simbolo del cinema arabo) e dall’indiana Freida Pinto che Woody Allen ha voluto nel suo prossimo film. Tutti arrivati il film a Venezia – salvo la Pinto, assente giustificata -, per mostrare da vicino sofferenze e speranze universali.

LA STORIA – Una storia che il cinema ha raccontato più volte, qui vista attraverso gli occhi delle donne palestinesi e che certo farà discutere: in Italia esce il 3 settembre, è stata venduta in molti paesi, compreso il mondo arabo. In Israele ancora no. «Avrei voluto che l’avessero visto Obama, Netanyau e Abu Mazen prima di iniziare le trattative», dice Tarak Ben Ammar. «Un film non cambia il mondo, ma cambia l’animo della gente. Chi non sapeva niente della Palestina può guardare da vicino le sofferenze di questo popolo. Vogliamo continuare a credere», dice citando l’intellettuale ebreo Judah Magnes «che ci possa essere giustizia per gli ebrei senza ingiustizie per i palestinesi». A chi parla di film politico, replica Schnabel, pittore, scultore, regista, che nel 2000 vinse il Gran premio della Giuria con Prima che sia notte che valse la coppa Volpi a un allora sconosciuto Javier Bardem . «Ogni cosa che fai è politica. Se faccio un film è perché sento la responsabilità dell’argomento. Non sono un politico, ma francamente, fare peggio di loro non è facile». La storia, quella della piccola Miral, inizia nel film trent’anni prima della sua nascita, nel 1948 a Gerusalemme dove una donna, Hind Huissein, crea una scuola, che esiste tuttora, per accogliere gli orfani palestinesi. Lì arriverà Miral, dopo il suicidio della madre: la pellicola la segue fino alla sua partenza, molti anni dopo per l’Italia dove Miral-Rula riuscirà a diventare giornalista. La Jebreal propose il soggetto a Schnabel, incontrato a una mostra. Si è ritrovata accanto a lui, nel frattempo diventato suo compagno nella vita, durante tutte le riprese, in certi casi facendo le veci di un aiuto-regista.

RULA E JULIAN – «Ha vissuto in quei luoghi, grazie a lei ci hanno aperto tante porte», racconta Schnabel, «non è normale che uno sceneggiatore segua il set, ma senza Rula non avrei mai potuto fare il film». La Jebreal era presente anche nelle scene per lei più dolorose, che rievocano lo stupro e il suicidio della madre. «Ho dovuto affrontare la mia famiglia che non voleva che di quelle cose si parlasse. Ma io per vedere il mio futuro, dovevo guardare da vicino il mio passato. Devo ringraziare queste donne, quelle che mi hanno aiutato a crescere e le attrici che le hanno interpretate: per me sono state una guarigione». E’ soprattutto una storia di donne Miral, quelle schiacciate dalla storia e quelle che provano a reagire. «Donne e bambine sono le prime vittime di ogni conflitto. Solo l’istruzione regala un’alternativa. In Palestina le donne povere hanno due strade davanti: o sposarsi a 13 anni, o essere manipolata da fanatici religiosi. Per la sicurezza di uno stato, è meglio avere donne educate e istruite o lasciarle nell’ignoranza?». Venezia chiama, Washington, sperano quelli di Miral, risponderà.

Stefania Ulivi

CORRIERE.IT

Written by: admin

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