La Guardia di finanza ha avviato le notifiche per i reati di epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo, rifiuto di atti di ufficio per venti indagati
1 marzo 2023
Tra gli altri indagati anche alcuni dirigenti chiave del ministero della Salute, il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli, il coordinatore del primo Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo e allora capo della Protezione civile Angelo Borrelli. Dopo tre anni e una pandemia che nella primavera del 2020 ha riempito più di 3mila bare in provincia di Bergamo, la procura guidata da Antonio Chiappani tira le fila dell’inchiesta.
Tre i filoni dell’indagine: la repentina chiusura e riapertura dell’ospedale di Alzano, la mancata “zona rossa” in Val Seriana e l’assenza di un piano pandemico aggiornato per contrastare il rischio pandemia lanciato dall’Oms. Tra fine febbraio e aprile 2020, nella Bergamasca l’eccesso di mortalità fu di 6.200 persone rispetto alla media dello stesso periodo degli anni precedenti, tanto che nella relazione per l’apertura dell’anno giudiziario il procuratore Chiappani disse che l’inchiesta aveva «accertato gravi omissioni da parte delle autorità sanitarie, nella valutazione dei rischi epidemici e nella gestione della prima fase della pandemia».
Per quanto riguarda l’ospedale, l’inchiesta punta a capire perché il 23 febbraio il pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo non venne chiuso. Ci fu un balletto di chiusura e riapertura. Secondo le indagini «il primo dg e il secondo ex direttore sanitario dell’Asst Bergamo Est, avrebbero dichiarato il falso in atti pubblici» quando, nel caso dell’anomala chiusura e riapertura il 23 febbraio in poche ore del pronto soccorso scrissero che erano state adottate «tutte le misure previste», perché in realtà era «incompleta» la sanificazione del PS e dei reparti del Presidio. Sulla base già delle prime ricostruzioni risalenti al 2020, il pronto soccorso fu inizialmente chiuso, ma la Asst competente, una volta sentito il parere dei vertici della Regione Lombardia, avrebbero optato per la riapertura, contribuendo così al diffondersi della pandemia.
La mancata zona rossa
Tra il 27 e il 3 marzo 2020 i contagiati e soprattutto i morti in Val Seriana – partendo appunto dai comuni di Nembro e Alzano – stavano salendo esponenzialmente, più che in altre province. Il 4 marzo si registra il seguente bollettino: 423 contagiati (il doppio rispetto al giorno prima), su 1.820 in tutta la Lombardia, con 73 decessi.
Vengono dunque inviati dall’Unità di crisi lombarda i dati all’Iss, con richiesta di intervento. L’Istituto superiore della sanità conferma il 5 marzo il problema e chiede di chiudere la Val Seriana. Vengono preparati i militari, che arrivano per richiesta del ministero degli Interni ai confini dei due comuni. Il 6 marzo intanto si registrano 135 decessi, su 309, totali in Italia. Ma il comitato tecnico scientifico avvisa il premier Giuseppe Conte che la situazione sta degenerando in tutta la Lombardia. Così il 7 marzo arriva il noto Dpcm sulla zona arancione in regione e i militari tornano indietro. Poi, l’11 marzo tutta Italia diventa zona rossa, per evitare le fughe di persone, già visibili proprio tra il 6 e il 7 marzo. Quell’anno nella bergamasca la mortalità è salita del 600% rispetto agli anni precedenti.
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