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«Ero in aereo con i militari coinvolti»

today18/09/2009 3

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KABUL – «Stavamo caricando i bagagli in un container, quando abbiamo sentito il rumore sordo di un’esplosione in lontananza, fuori dall’aeroporto, e abbiamo visto alzarsi una colonna di fumo verso il cielo», racconta Cristina Balotelli, giornalista di Radio24-IlSole24Ore (e sorella del calciatore Mario Balotelli), arrivata a Kabul proprio sul velivolo che accompagnava in Afghanistan alcuni dei militari italiani poi coinvolti nell’attentato. «I militari sono saliti sui loro Lince e si sono diretti verso il quartier generale Isaf di Kabul. «Fra poco torniamo indietro e veniamo a riprendervi», ci hanno detto, e noi giornalisti siamo rimasti qui all’aeroporto di Kabul», sottolinea l’inviata di Radio24

LE TESTIMONIANZE – Erano tre i cronisti italiani su quell’aereo insieme ai militari: oltre alla Balotelli c’erano Paolo Valpolini, che scrive per riviste specializzate italiane e straniere, e Alessandra Vaccari dell’Arena di Verona. «Eravamo partiti mercoledì alle 15,30 da Roma», racconta Valpolini. «Dopo due scali siamo saliti sul C130 che ci ha portati a Kabul giovedì mattina. Accanto a me erano seduti due parà della folgore. All’aeroporto di Kabul i militari sono saliti sui loro Lince e si sono diretti verso il quartier generale Isaf di Kabul. Quelli della scorta ci hanno detto: ‘Portiamo loro e torniamo a riprendervì. Noi giornalisti siamo rimasti in aeroporto. Alle 12,10 (le 9,40 in Italia) abbiamo sentito l’esplosione fortissima. Ma non mi sono agitato: sono venuto spesso in Afghanistan e questi botti sono quasi all’ordine del giorno», spiega. «Ho capito quel che era successo solo quando un blindato. È arrivato davanti all’aeroporto a tutta velocità: è sceso un parà e ha cominciato a sbattere i pugni sul cofano. Urlava e piangeva. Poi è iniziato il caos, le voci incontrollate: uno, due, quatto, sei morti. Qualcuno parlava di dieci. Non capivamo più nulla. Dopo i primi momenti di disorientamento, ci hanno portato all’interno dello scalo e ci hanno chiesto di aspettare dentro una stanza per motivi di sicurezza. Solo dopo parecchio tempo sono venuti a prenderci e ci hanno portato alla base italiana di Camp Invicta. Abbiamo trovato una situazione di dolore, rabbia e smarrimento. Non credo fosse un attacco contro l’Italia, poteva esserci chiunque perché il luogo dell’attentato è attraversato dai convogli militari ogni dieci minuti».

RICORDO – Alessandra Vaccari ricorda una delle vittime, Antonio Fortunato: «Eravamo all’aeroporto in attesa di raggiungere Camp Invicta e il convoglio con il tenente Fortunato come caposcorta era partito dallo scalo da una quindicina di minuti, quando abbiamo sentito un botto secco, sordo, ma forte. Ci sono stati momenti di silenzio lunghissimi. Ognuno di noi ha immediatamente cercato tra i militari che erano con noi, i volti di chi mancava all’appello». Dopo sei ore all’aeroporto, «un Lince mi ha portata a Camp Invicta, una mezz’ora sembrata eterna, con il timore che chiunque ci venisse incontro potesse essere un altro attentatore».

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Written by: admin

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