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Rocca: “A Tinto Brass dissi ‘no’. Ma se richiama…”

today27/11/2008 2

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Roma – Sarà il tanto sport che ha praticato, dalla pallavolo agonistica, al nuoto, all’arrampicata libera sua vera grande passione, ma certo chiacchierare con Stefania Rocca, sprintosa trentasettenne, è come mettersi di fronte a un fiume in piena. La sua vitalità ti travolge come la parlantina che metterebbe in difficoltà anche lo stenografo più lesto del mondo. Più o meno come la vedremo su Raiuno da domenica 7 dicembre nella lunga serie diretta da Riccardo Milani, 26 puntate da 50 minuti prodotte dalla Pubblispei di Carlo Bixio, Tutti pazzi per amore, accanto a Emilio Solfrizzi. Una commedia definita «sentimental-pop» in cui scoppia un colpo di fulmine tra i due. Sembrerebbe tutto perfetto, quasi magico. Almeno fino a quando non scoprono di essere l’uno il vicino di casa dell’altra. Un ruolo in cui invece si odiano perché lui la crede saputella e perfettina mentre lei lo vede ignorante e troglodita. Ma l’amore non conosce ostacoli… «Anche perché – racconta Stefania Rocca – lei a un certo punto lo vede scegliere in una videoteca un film, Da qui all’eternità, che è anche quello preferito da lei. Un vero e proprio segno del destino».

Ha mai avuto un dubbio prima di accettare questa fiction di lunga serialità?
«Mica solo uno. I timori erano tanti».

Ma lei non ha mai disprezzato la tv, la ricordiamo in «Resurrezione» dei fratelli Taviani e «Mafalda di Savoia» di Maurizio Zaccaro…
«Per come sono fatta io, avevo paura di annoiarmi a interpretare per otto mesi, tanto sono durate le riprese, lo stesso personaggio. Per fortuna Laura è diversa in ogni episodio e ci sono mille situazioni. Perché il bello di questa fiction è che si raccontano anche i sogni e i desideri dei personaggi».

Quindi non condivide il giudizio espresso qualche tempo fa dalla sua collega Valeria Golino sulla bruttezza della fiction?
«Assolutamente no. Non si può avere un atteggiamento snobistico con la divisione tra chi fa solo cinema e chi solo tv. Il mondo è trasversale. La tv è uno straordinario mezzo di comunicazione ed è bello mettersi in gioco. L’importante è riuscire a mantenere una certa qualità come in questo caso grazie anche al grande cast (tra gli altri Neri Marcorè, Carlotta Natoli, Sonia Bergamasco, Irene Ferri, Luigi Diberti, ndr). Ma questo vale per tutto, anche per il cinema».

A proposito, Nanni Moretti quest’anno ha snobbato i film italiani per il concorso del suo festival di Torino aggiungendo che «Gomorra» e «Il divo» non fanno certo primavera.
«Sono film che ho amato, bellissimi e interessanti. Credo che averne due così in un’annata sia già tanto. Quindi può proprio essere che Moretti abbia ragione».

Tifa Nanni perché lei è di Torino… Ma non pensa che tre festival (Venezia, Roma e Torino) di seguito non aiutino il cinema, soprattutto quello italiano?
«Io naturalmente sono affezionata a quello di Torino perché ci sono cresciuta. Per vedere i film non andavo a scuola e la mia passione per la recitazione è nata lì. Però anche Venezia mi ha portato fortuna tutte le volte che ci sono andata. Quello di Roma lo conosco meno ma è giusto che ci sia. L’importante è che non si facciano la lotta interna rubandosi i film. Basterebbe trovare un accordo, un punto d’incontro».
Ma quant’è diplomatica…
(Ride) «Ha ragione ma mi creda nella vita lo sono molto meno».

Lei ha un figlio di un anno e mezzo. Sta rivivendo il suo personaggio in «Casomai» di D’Alatri?
«Quando sono rimasta incinta ho avuto la stessa reazione che nel film, ho pensato: “Che cavolata!”. Invece dopo il parto e i primi cinque mesi ho detto: “Sono stata proprio brava”. Ma è tutto come in Casomai: le stesse tappe, le stesse problematiche, il sonno del piccolo che non arriva…».

Tranne il fatto che lì era sposata con Fabio Volo mentre nella realtà non lo è con il suo compagno.
«L’abbiamo deciso insieme. Non volevamo che fosse un’imposizione dettata dalle regole o da timori su come potesse fare il bambino all’asilo. Paradossalmente poi, come insegna “Casomai”, i non sposati sono anche avvantaggiati nelle liste d’attesa».

Ora che è mamma rifarebbe la lap-dance in topless come in «Go Go Tales» di Abel Ferrara?
«Certo, non sono mica moralista e in questo mio figlio non mi può cambiare».

Neanche se la chiamasse Tinto Brass?
«Guardi che a suo tempo mi ha già cercato. Ma avevo altri progetti e non s’è fatto più nulla. Oggi però lo valuterei attentamente e soprattutto senza problemi».

Written by: admin

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