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ROMA — I mille specchietti rotondi che tappezzano le pareti del palco rimandano bagliori accecanti, come una discoteca anni Ottanta. Fuori campo la voce di Vasco Rossi cita il filosofo Spinoza, che utilizzava rigore e coerenza per la ricerca della felicità: «Diceva che chi detiene il potere vuole che le persone siano affette da tristezza. Noi siamo qui questa sera per portarvi un po’ di gioia». Si illumina il palco sovrastato da un anello di acciaio e si accendono i due megaschermi che rimandano ideogrammi, chitarre, mani segnate da stimmate. Vasco sale sul palco e la band attacca il ritmo violento del rock «Qui si fa la storia». Giovedì (si replica venerdì), allo Stadio Olimpico di Roma, Vasco Rossi è partito con il suo «08 Live in concert». Biglietti esauriti da mesi: centotrentamila spettatori in due date. Potenza di un «musicante» che a 56 anni (e 32 di «mestiere») continua a conquistare le folle. Ora lo adora pure la tv.
Lo special ‘Effetto Vasco’, che ha trasmesso in diretta la prima e l’ultima canzone dello show, ha costretto ‘Annozero’ di Michele Santoro a scivolare di un giorno nel palinsesto di Raidue. Vasco Rossi, rocker dall’emiliana Zocca, ha messo via il sarcasmo e l’ironia degli esordi per far posto al severo disincanto e alla durezza del nuovo album «Il mondo che vorrei». I giovani che affollano le tribune e si stringono sul prato sono d’accordo con lui. Non raggiungono i trent’anni, hanno pochissime speranze per il futuro. Un gruppo di «Squinternati» appoggia uno striscione sulle transenne vicino alla tribuna Monte Mario. Le ragazze, quando non sono accompagnate dai fidanzati, osano di più: occhiali a mascherina o da «aviatore» per proteggersi dal (debole) sole, magliette strizzate e jeans. Ritratto di una generazione inafferrabile che «non ha santi né eroi», come canta Vasco in «Siamo solo noi». In più di due ore e mezza di musica le emozioni si snodano al ritmo di possente rock. Vasco non sta fermo, cammina sulle passerelle ai lati del palco che chiudono il pubblico in un «abbraccio».
I megaschermi, come fossero insegne di Las Vegas, mandano loop di immagini: nuvole, acqua, fotografie, linee spezzate, disegni astratti, la «V» di Vasco (o di «vittoria»). La prima parte del concerto è quasi tutta dedicata alle nuove canzoni, squarci di rabbia contro solitudine e indifferenza. Ma anche i pezzi più lontani, come «La noia» (1982), tracciano il segno del disincanto. Sembra un’autobiografia in musica la vecchia «L’uomo che hai di fronte» che sfocia nella distaccata ma dirompente «T’immagini» (mai proposta dal vivo, del 1985), trascinata dalla chitarra stregata di Stef Burns e termina con la malinconica «Siamo soli». Un «interludio» suonato dalla band «migliore del mondo» è il prologo per la seconda parte dello show che attacca con la provocante «Gioca con me». Ecco arrivare il primo dei due medley della serata: questa parentesi mette insieme i brani dal sarcasmo feroce e «politicamente scorretto» del primo Vasco come «Asilo republic», «Deviazioni», «Colpa d’Alfredo».
È il momento dei «classici»: «Sally», «Rewind». La ribellione al perbenismo e all’ipocrisia cantata da «C’è chi dice no» viene sottolineata dai segnali di divieto: al fumo, all’alcol, alla marijuana. E si chiude con la nuova ed emblematica «Il mondo che vorrei». Prima del finale con la rituale «Albachiara», cantata dalla folla, c’è il commovente ricordo del chitarrista Massimo Riva. Fra i bis spunta il collage acustico che mette insieme «Toffee», «Ridere di te», «Brava Giulia», «Dormi dormi», «Va bene, va bene». La versione per piano e voce di «Vita spericolata» con Vasco che attacca ogni strofa con «io», suggerisce un ironico paragone con la «Vita tranquilla» che Tricarico ha portato sul palco dell’ultimo Sanremo. E sottolinea che, alla fine, soltanto con lui ha vissuto e ancora vive l’anima provocatoria del rock’n’roll.
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