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Dodici brani per affermare la propria essenza, la propria personalità, il proprio io nel panorama musicale del 2015. Si intitola “Io sono”, il nuovo album di Paola Turci che raccoglie successi del passato (rivisitati in un’inedita chiave elettro-acustica dalla produzione di Federico Dragogna) e tre inediti. “Ho messo insieme i miei amori degli esordi e la musica elettronica che amo ascoltare oggi” spiega lei a Tgcom24.Tra i 50 anni compiuti lo scorso settembre e i 30 di carriera, i traguardi simbolici per Paola Turci erano sufficienti per tracciare un bilancio. Non di quelli semplicemente ripiegati sul passato ma piuttosto un trampolino per il futuro. Così ecco che 12 brani tra quelli che ha ritenuto più rappresentativi della sua carriera sono stati spogliati e rivestiti in maniera originale, mentre il quadro veniva completato da 3 inediti. A cominciare dal singolo “Io sono”, scritto da Francesco Bianconi dei Baustelle e da Kaballà, che sono riusciti a tratteggiare un profilo nel quale Paola si è trovata a pennello. “Io sono è un invito a non fermarsi alle apparenze – spiega -. In copertina ci sono io, da ogni angolazione. E’ anche un invito a non giudicare e a pensare che la persona in sé è una contraddizione. Il bianco e il nero, non l’una o l’altra cosa. Il fatto di essere così difficilmente collocabile, mi definisco una cantante pop ma ho fatto anche tanto di altro, lo sento molto vicino alla mia essenza”.
Nel suo ruolo di snodo tra passato e futuro l’album presenta una cesura evidente sul piano sonoro, con delle riletture sorprendenti per levità e sprazzi onirici, in bilico tra acustica ed elettronica (“Sono un po’ tornata alle origini, al mio amore per quel disco meraviglioso che è “Blue” di Joni Mitchell, ma volevo anche che avesse delle sonorità che ascolto oggi, di musica elettronica, come Portishead o ai Massive Attack”). Merito di questi nuovi vestiti è della produzione di Federico Dragogna, chitarrista di un gruppo cult dell’indie nostrano come i Ministri. “L’incontro con Dragogna è stato molto bello – racconta la Turci -. Ero già al lavoro sul disco, avevo iniziato una sorta di pre-produzione e quando una sera l’ho sentito in concerto con Vasco Brondi ho pensato che quel suono poteva essere perfetto”.
Guarda talmente al futuro Paola che sta già pensando a un nuovo lavoro di inediti, nel quale tornare a scrivere in prima persona musica e testi. Magari ancora con l’aiuto di Dragogna per cucire i vestiti più adatti alle canzoni… “Me lo sto chiedendo – spiega -. Lavorare con Federico mi è piaciuto moltissimo e mi piace il modo in cui si pone sulle canzone. La sua visione della musica e vastissima e non solo relegata all’indie. Con lui ho avuto modo di parlare della mia idea di realizzare un disco su Leo Ferrè. Non pensavo ancora al disco di inediti, che è diventato una necessità negli ultimi tempi. Probabilmente mi piacerebbe lavorare con lui ma dipenderà dalle canzoni che verranno fuori”.
Tempo di bilanci si diceva. Perché questo album segue la biografia “Mi amerò lo stesso”, pubblicata l’anno scorso. “Mentre scrivevo pensavo a fare il disco – dice lei -. Perché veniva fuori, per la prima volta, una necessità di mettermi al centro. Un po’ per ritrovare una forza che mi stava mancando”. Tirando i fili della propria vita, privata e professionale, per Paola la somma è sicuramente positiva. “Mi sento molto fortunata ad aver vissuto un periodo più lento e un periodo, come quello attuale, molto veloce – racconta -. All’epoca dei miei esordi c’era l’investimento, la ricerca. Mi piace aver vissuto, e goduto, tutte queste fasi. Cominciare oggi probabilmente sarebbe impossibile. Anche se forse un talent mi prenderebbe”. Quello dei talent per lei non è il mondo del male, anzi, un’esperienza la farebbe anche volentieri: “Io giudice? La parola è più forte di quello che è la realtà. E’ un mettersi in gioco, e quindi, perché no? Anche se con mille pudori. Non ci deve essere mania di grandezza o di presunzione ma cogliere l’essenza del divertimento”.
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