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GATTUSO:”CAVALIERI DELLA VERGOGNA”

today25/06/2010 3

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I l ringhio stavolta è un rantolo, viene dal basso, dal fondo, da dove l’Italia è precipitata dopo questo Mondiale. Rino Gattuso sa che è impossibile guardare in faccia l’orrore di Johannesburg senza ricordare la gloria: «Nel 2006 ci hanno fatto cavalieri del lavoro, ora ci faranno cavalieri della vergogna. Sappiamo cosa ci aspetta a casa: mettiamo l’elmetto e partiamo».

Dritto al punto, dentro la vergogna di chi non ha saputo difendere l’immagine di campioni e non c’è più orgoglio, non si cerca difesa, le parole si somigliano tutte ma le facce no. Quella di Gattuso non ha espressione, il simbolo della grinta è svuotato di ogni forza. Sillaba la resa, consapevole che in questo momento non ha senso nemmeno reagire alle parole dei politici e lascia cadere le critiche. Elmetto, non resta altro: «Si parlerà di chi era in vacanza invece di stare qui. Ci vuole più del talento per vincere certe partite. Il calcio si deve fare un esame di coscienza, contro la Slovacchia parecchi di noi hanno toccato il fondo». È la sua ultima partita in nazionale e si è chiusa a metà, in pieno dramma. Non è riuscito a lasciare un segno e non ha potuto passare il testimone perché dietro agli ex padroni del mondo non c’è nessuno pronto a correre.

Il capitano tenta ancora la strada della fierezza, sfila a testa alta nella pancia di Ellis Park. Altro che Invictus, nessuna poesia avrebbe potuto spronare questi azzurri, ma Cannavaro tiene il mento alto ed evita le parole «Non adesso». Sarà lui oggi, a freddo, a motivare la disfatta, l’uomo che aveva alzato il trofeo nel delirio di Berlino cade in ginocchio al fischio finale. Il muro è crollato, resta il ruolo. Deve raccogliere i ragazzi dal campo, deve sollevare Quagliarella in lacrime, deve assicurarsi che siano usciti tutti. Spegnere la luce non serve, è già buio da un pezzo. L’unico a crederci a oltranza è Buffon, fuori ma più partecipe di molti. In panchina si sbraccia, urla e lentamente capisce che non c’è una sola possibilità di uscirne bene o almeno in piedi. Fa scivolare sulle guance le mani che hanno parato l’impossibile in Germania e fissa il campo. Riconosce il fallimento: «Giusto uscire qui. La verità è che dovevamo arrivare all’ultima gara da qualificati».

Quindi non c’erano elisir 2006 da sniffare per sentirsi meglio, citare di continuo lo spirito da campioni e il carattere dell’Italia che si esalta nei momenti difficili era pura retorica. «Sono cicli, come in tutti gli altri settori, l’economia, la cultura…. Nel calcio abbiamo raggiunto l’apice nell’ultimo Mondiale. Ora l’Italia migliore è questa, fatevene una ragione. Tra tre mesi magari sbuca il nuovo Totti, al momento siamo questi».

Senza il miglior portiere e senza Pirlo, lui la faccia tirata ce l’aveva anche nel 2006. Ci è voluta la corsa dopo l’ultimo rigore per vederlo sorridere davvero, oggi potrebbe tirarsi un po’ fuori dal pantano invece parla più del solito: «Con me o senza di me sarebbe stato uguale. Una figura indegna». Non c’è verso di spiegare il terrore, la paralisi è durata 70’ e Daniele De Rossi ci sbatte ancora contro. L’unico della vecchia guardia a dare segni di vita e coraggio nelle prime due partite, ha perso ogni slancio: «Gli slovacchi sono entrati con una carica che noi ci sognavamo. Io prima di entrare in campo ridevo, ero convinto che saremmo passati». Infatti nel tunnel, prima che l’incubo inizi, scherza con i bambini che accompagnano le squadre. È l’unico, gli altri sono paralizzati.

Iaquinta è rigido e lo resterà. A lui è legato l’unico istante sereno di questa Italia ansiosa, la vuvuzela mimata con De Rossi dopo il rigore segnato alla Nuova Zelanda. Quel che poteva essere, felicità incompiuta che ha lasciato il posto alla disfatta. Iaquinta rifiuta la fase vergogna: «Dobbiamo ripartire da zero». Il suo Mondiale è finito in una zuffa dentro una rete con il portiere Mucha.

Camoranesi si è agitato molto meno, ai margini, mani in tasca, come se il suo Mondiale fosse rimasto quello tedesco. Accetta le colpe e non sembra che gli pesino addosso: «Mi dispiace per i ragazzi della mia età che non avranno la possibilità di rifarsi». Vallo a spiegare a Quagliarella, disperato perché la sua possibilità è arrivata a tempo scaduto. Gilardino se l’è giocata male e Zambrotta a sorpresa si aggrappa la futuro: «Bisogna togliersi dalla testa questo Mondiale». A occhio era meglio archiviare quello vinto prima di arrivare qui. Il 2006 doveva essere una spinta, era il capolinea.
LASTAMPA.IT

Written by: admin

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