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Roma – La spada di Damocle della Seconda guerra mondiale, la tenerezza di una storia d’amore, la spietatezza del male, la paura di un’infanzia rubata, l’esotismo della cultura aborigena, il fascino della natura selvaggia. Azione, commedia e dramma. Tutto insieme in un solo film. È l’offerta 3×1 di Australia, il mega kolossal da 150 milioni di dollari dell’australiano Baz Luhrmann che, dopo Moulin Rouge, torna di nuovo in coppia con la conterranea, ma superstar mondiale, Nicole Kidman per un film che mette in mostra i lati oscuri ma anche le bellezze del loro Paese.
E allora in tempi di crisi che cosa ci può essere di meglio di Australia, dal 16 gennaio nei cinema italiani, una grande epopea classica, alla vecchia maniera, piena di buoni sentimenti e con tanto di lieto fine? Ne è fermamente convinto il regista che prende molto alla lontana la genesi del film, una sorta di ritorno alle origini: «La mia ispirazione affonda nell’infanzia quando vivevo in un piccolo paesino australiano dove mio padre gestiva un cinema alla Nuovo cinema Paradiso. Mi nutrivo delle immagini di film come Lawrence d’Arabia e Via col vento che mio padre proiettava spesso a rotazione. Commedia, azione e avventura anche in un solo film, un banchetto di cinema a cui partecipavano tutti dai bambini ai più vecchi».
Su questa falsariga narrativa, accompagnata dalla citazione altrettanto classica con il leit motiv della canzone Somewhere Over The Rainbow da Il mago di Oz, Luhrmann inserisce le vicende dell’aristocratica e raffinata inglese Sara Ashley (Nicole Kidman) che, giunta in Australia, incontra un rude uomo (Hugh Jackman), ribattezzato «il mandriano», con il quale deve unire le forze per salvare la proprietà di Faraway Downs e soprattutto i buoi ereditati dal marito assassinato poco prima del suo arrivo. I due intraprendono un lunghissimo viaggio, che ovviamente sfocerà in amore, accompagnati anche dal piccolo semi-aborigeno Nullah (l’esordiente Brandon Walters), per portare una mandria a Darwin sotto i bombardamenti dei giapponesi successivi a Pearl Harbor. Oltre alla difficoltà della guerra ci sono le mire monopolistiche del maggiore proprietario di bestiame del Nord dell’Australia, King Carney, che userà tutti i metodi, soprattutto quelli illegali, per ostacolarli.
Racconta la Kidman: «Avevo una conoscenza superficiale e non approfondita di queste vicende. È stata una bellissima lezione di storia ma anche molto divertente. Grazie a questo film ho scoperto molte più cose sulla cultura aborigena e soprattutto del problema delle generazioni rubate». Sì perché nell’Australia dell’epoca i piccoli meticci come Nullah, in quanto figli della colpa di un bianco e di un’aborigena, venivano allontanati dalla madre e fatti crescere in istituti religiosi. Un processo definito «la generazione rubata» che, per il regista, «rappresenta un capitolo estremamente oscuro dell’Australia e prende spunto dalle terribili idee eugenetiche degli Anni ’30 provenienti dall’Europa». Aggiunge Hugh Jackman, il protagonista di X-Men, australiano come Russell Crowe che in un primo tempo era stato scelto per la parte: «Anch’io non sapevo granché di questa storia. Non è che a scuola ci parlassero delle generazioni rubate. Baz Luhrmann ha fatto molto per il nostro popolo consentendo che questa conoscenza storica, prima solo intellettuale, diventasse ora anche emotiva».
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