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Campioni, tocca a voi

today09/06/2008

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DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
BERNA — Dopo gli scudetti vinti percorrendo tutto l’arco costituzionale rossonero (uno con Sacchi, quattro con Capello, ancora uno con Zaccheroni), dopo le Coppe dei Campioni (tre, Sacchi e Capello), le Coppe Intercontinentali (due con Sacchi) e la manciata di Supercoppe assortite, Roberto Donadoni incomincia oggi la sua prima caccia al tesoro da c.t. Curioso che il destino abbia scelto di mettergli di fronte Marco Van Basten, uno dei suoi sodali della prima ora, il cannoniere talentuoso che si sognava di notte le ossessioni tattiche di Sacchi.

■ Le formazioni
■ Video: la scheda degli avversari

Marco non aveva nessuna intenzione di fare l’allenatore, non gli passava per la testa di diventare come quel martello romagnolo che un giorno, stufo di incassare le sue critiche, gli disse: visto che sei così bravo, vieni vicino a me così mi dai una mano. E con il Pisa lo schiaffò in panchina per tutto un tempo. Roberto invece, con la sua propensione alla meticolosità, era già un animale da competizione allora. In pochi si sono sorpresi della sua scelta. Perché da allenatore Donadoni è esattamente quello che era da calciatore: un osso, come lo chiama Gattuso. Cioè uno che non molla mai e che sul campo rincorre la perfezione. L’esatto opposto di quello che è il suo modo di porsi in pubblico: sempre con il pelo irto, sovente prevenuto. Donadoni, in sostanza, è molto bergamasco nel suo modo di essere con gli altri, asciutto ed essenziale, tanto che i suoi giocatori sono sempre sulla corda.

A parte i soliti noti (Buffon, Cannavaro quando non aveva le stampelle, Zambrotta, Pirlo, Toni, Camoranesi e Di Natale) sono tanti gli azzurri che arrivano alla vigilia della partita senza avere capito se saranno titolari o riserve. Un tira e molla che gli serve per tenere tutti sulla corda, per evitare che qualcuno molli gli ormeggi della tensione. Anche ieri Roberto, quello che a differenza di Van Basten il calcio di Sacchi lo metabolizzava senza opporre resistenza, è rimasto abbottonato, limitandosi a fare lo spiritoso («Ho una grande confusione ancora, non so che pesci pigliare»).

La sfida con l’Olanda apre la sua caccia al tesoro e chiude due anni di lavoro tra ironie, delusioni e colpi di coda come quello che a Glasgow ci ha consegnato le chiavi di Euro 2008 («Non vedo l’ora di incominciare ma sono tranquillo»). Gli orange non ci battono da trent’anni, da quel famoso siluro di Haan che ipnotizzò Zoff nel ’78, e da calciatore Van Basten non ci ha mai sconfitti ma Donadoni non tocca ferro («Tutto quello che riguarda il passato ha solo una valenza statistica: il passato non mi mette pressione»). La sua maschera di serenità non tradisce fastidio neppure di fronte all’emergenza difensiva, anche se la rinuncia a Fabio Cannavaro è molto di più di una semplice rotazione tra difensori. Dunque, che alla fine accanto a Barzagli giochi Materazzi, come parrebbe di intuire, e che tocchi a Panucci e a Zambrotta il presidio delle fasce, assume contorni sostanzialmente marginali. In campo va l’Italia campione del mondo e tanto basta: «Partiamo dal presupposto di fare il meglio per ottenere il massimo.

Siamo i campioni del mondo ma non è che questo sia una garanzia per continuare a vincere. Ripetersi è difficile per tutti, figuriamoci a distanza di due anni. Io vedo i miei giocatori tranquilli ma non rilassati, mi sembra che la squadra stia bene e abbia voglia. Non so tradurre tutto questo in percentuali: siamo semplicemente quello che siamo». Allora auguriamoci che basti e avanzi.

CORRIERE.IT

Written by: admin

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