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DOMENICO QUIRICO
Lo si annunciava, lo si sussurrava apertamente. Ma non si voleva crederci, diciamolo apertamente, si sperava che non fosse vero. Che si potesse sfruttare politicamente anche l’annuncio del divorzio, inzuppare di astuzia manovriera il giorno in cui una vita in comune, un capitale di affetti, ricordi, abitudini si accascia in pratica di tribunale, suvvia! C’è da trasformare in punto ammirativo il più integralista dei macchiavellici. E invece ecco lì, proprio nel giorno più adatto, quello di uno sciopero molesto e ribelle, far capolino l’annuncio tenuto accuratamente nel cassetto per settimane: «Nicolas e Cécilia Sarkozy annunciano la loro separazione per consenso reciproco. Non ci saranno commenti».
Quindici parole per chiudere un amore contorto e procelloso, tra due che si sono voluti bene, forse, ma senza esclusione di colpi. Questa volta non ci sarà una seconda puntata come nel 2006. Francia rassegnati, nei tuoi prossimi cinque anni non ci sarà una Maria Antonietta griffata Prada. Il divorzio è già stato trascritto in bella copia legale dal giudice Nicole Choubrac, da cui Cécilia è andata in visita lunedì; lo stesso magistrato si è poi recato all’Eliseo per raccogliere la firma del presidente. «Tutto è stato consensuale e si è svolto nel migliore dei modi», esulta l’avvocato Michèle Cahen che ha seguito l’augusta pratica. I francesi ieri meditavano a bocca aperta l’inconsueta novità mentre erano in coda, inutile, alle stazioni del treno e del metrò o si affidavano alle biciclette municipali per spostarsi in città paralizzate dallo sciopero dei trasporti.
Sciopero riuscitissimo, assai pericoloso visto che nel 1995 analoga misura costò la vita a un governo. Ma è diventato, di fronte alla «rupture» a Palazzo, la seconda notizia. Coincidenza sapientemente scelta dunque; è la tecnica della saturazione dell’informazione, classico marchio sarkosista. Tutto serve nella battaglia dell’immagine: gli amori, le riconciliazioni, i parenti, i figli, le figliastre. I divorzi. L’addio a Cécilia è stato un meticoloso e freddissimo «affaire d’Etat». Tutto preparato in anticipo: perfino le foto di lei, splendida, scattate una settimana fa per apparire sulle pagine di Paris Match, in edicola guarda caso il giorno dell’annuncio. Madame ci teneva a essere all’altezza. Altro che lacrime: siamo alla pianificazione.
D’altronde il regista si chiama Claude Guéant, segretario generale dell’Eliseo, un quaresimalista del Potere davvero impossibile da collocare in un romanzo passionale. Semplicemente Cécilia aveva completato il lavoro, la missione per l’inclito Marito. Lo ha accompagnato, presenza decisiva, fino all’Eliseo. Chiederle di più, di restare a recitare la first lady tenera e alla moda, era troppo. Farlo presidente va bene, vivergli assieme, no grazie, non era nei patti: firmati e sottoscritti quando lei ritornò dalla fuga in America. Per convincere i francesi a votare Sarkozy lei era necessaria, perché erano assuefatti all’esibizionismo matrimoniale, perché c’era da fronteggiare un’immagine femminile forte come quella di Ségolène.
Adesso Cécilia rischiava di diventare ingombrante, faceva resistenza, rifiutava di collaborare. Le sue assenze alle cerimonie ufficiali e nei viaggi di Stato, l’impossibilità di stabilire fino a che punto fosse disposta a spiluzzare la parte della presidentessa creavano imbarazzi protocollari, con i Bush, al G8, in Bulgaria. Alla fine l’ha spuntata, riavrà la sua libertà. E poi Sarkozy ha già provveduto: ha occhieggiato e ricomposto in questi mesi freneticamente attorno a sé un altro universo femminile. C’è Rachida Dati, guardasigilli dagli occhi serpentini, implacabile e in Dior, che ha scalato la società partendo dalle banlieues: come piace a Nicolas. Il fatto che sia la miglior amica di Cécilia, che lei l’abbia presentata e imposta può dare lena a chi vuole incamminarsi sulle vie del romanzesco.
C’è Maud Fontenoy, giovane e intrepida navigatrice solitaria che sui sette mari ha patito avventure degne di Ulisse: in tribuna allo stadio al suo fianco, prossima a un incarico ministeriale. Cécilia poteva essere al massimo un’algida Jacqueline, un gadget del glamour presidenziale. Forse poco per l’attuale spenglerismo del presidente. A coloro che si rifiutano di accettare nel divorzio l’insipido realismo di un’operazione politica forse può recare conforto leggere le meditazioni sulla solitudine cui Sarkozy si è abbandonato, a sorpresa, davanti al Consiglio economico e sociale proprio la sera prima dell’annuncio: «C’è una solitudine buona, quella della riflessione, che ci offre silenzio, serenità, libertà. Ma c’è una solitudine dura, appiccicosa, che opprime, che nasce dal non avere chi ti ascolta, dall’assenza dello sguardo dell’altro, che fa dimenticare il sentimento di amare e di essere amato». Già, qual è la solitudine del presidente?
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